Una storia di fiume e bicicletta

Questo è il racconto dei miei cinque giorni in bicicletta, da Praga verso Berlino.

Che poi ho notato che per il cicloturista, le persone che camminano o pattinano sulle ciclabili sono un po’ come gli uccelli per i naviganti. Per il marinaio indicano la vicinanza di un’isola, per il ciclista l’avvicinarsi di una città.

Prague and Berlin highlighted over a map

Questa è la storia, ricca di dettagli insignificanti, del mio viaggio in bicicletta da Praga a Torgau (Sassonia). Inizialmente il percorso avrebbe dovuto essere il ben più prestigioso Berlino-Praga, poi cambiato in direzione e ridimensionato due o tre volte per sopraggiunti limiti di tempo. Trovo che sia proprio la libertà di poter fare queste scelte, che rende bello e sostenibile questo modo di viaggiare: parti e poi adatti te stesso e il tragitto alla situazione, giorno per giorno.

Cinque giorni, dal mercoledí alla domenica: pianificati 400 km, fatti 402 ma senza centrare l’obiettivo primario, ovvero tornare al punto di partenza. Il piano originale prevedeva di raggiungere Lutherstadt Wittenberg da Berlino con l’auto e da lí raggiungere Praga in treno e tornare poi a Wittenberg seguendo il corso del fiume Elba in bicicletta. Alla fine del quinto giorno non riuscirò a tornare a Wittenberg, ma mi dovrò accontentare di essere arrivato a Torgau (che è a circa 60km da Wittenberg).

Il percorso che ho fatto è una sezione del ben più lungo Eurovelo 7 (la “Via del sole”), che va da Capo Nord a Malta e si snoda per oltre 7000 km. Questo tratto è anche, a sua volta, parte del Elberadweg che va da Praga a Cuxhaven.

Il primo giorno

Parto da Berlino in auto poco dopo mezzanotte, diretto a Wittenberg. Da lí alle 4:08 prenderò un trenino fino a Lipsia e poi un intercity fino a Praga dove arriverò alle 10:30.

Sono stato relativamente fortunato a prendere quel treno, prenotato solo due giorni prima. È impossibile salire su un IC con la bici se non si ha la prenotazione. I posti bici sono un numero limitato e oltretutto la prenotazione la puoi solo fare in stazione, non via web. È dunque un po’ una scommessa: ti presenti allo sportello con il tuo piano di viaggio e speri che sul treno che vuoi prendere ci sia posto. Se non c’è, cambi treno o ti metti a fare il giochino ad incastro con i regionali. Tanti auguri: l’anno scorso per arrivare in baviera da Berlino ho dovuto cambiare treno 5 volte.

La mia bicicletta smontata all'interno della mia auto

Arrivato a Praga l’obiettivo era quello di fare un veloce tour di un paio d’ore, vedere gli highlight e poi prendere la ciclabile ed iniziare il viaggio vero e proprio. Praga si rivela da subito l’incubo di ogni ciclista: le strade sono praticamente tutte fatte di sconessissimi sanpietrini, sali e scendi, scalinate e ovviamente turisti ovunque (il che significa: marciapiedi non utilizzabili). La soluzione è — in pratica– camminare.

Praga è Praga e non c’è certo bisogno che dica quanto sia magnifica, anche avendo da spingere una bici stracarica.

Vengo ripreso dal poliziotto perché sto pedalando sul ponte Charles e subito dopo affronto con entusiasmo e sprezzo del pericolo la salita fino in cima al castello. Buffo, perché mi ritrovo lassù unico ciclista in mezzo a centinaia di foto-scattanti turisti, tanto che aspettavo da un momento all’altro un poliziotto che mi riprendesse per l’insano gesto del pedalare lassù.

Per tutto il viaggio ho fatto continuo uso di Here.com e non di Google Maps come mio navigatore di fiducia. I vantaggi sono che hai la mappa completamente offline (compresa la ricerca dei toponimi, non una semplice “cache”) e la segnalazione delle scalinate (cosa che a Praga si è rilevata importantissima). Grazie a Here ho potuto sempre viaggiare con il telefono in modalità Aereo, arrivando a sera con ancora il 70% di batteria.

La mia bici in primo piano con Praga sullo sfondo

Vista abbastanza Praga, era giunto il momento di mettersi a fare sul serio. L’idea era quella di farsi un 40ina di KM e fermarsi a dormire dalle parti di Kralupy nad Vitavou.

Appena fuori dal centro, foro la ruota posteriore. Dopo i primi 5 secondi di panico realizzo che ho a disposizione almeno tre possibili soluzioni del problema: un nuova camera d’aria, il kit e la bomboletta. Scarico la bici, smonto la ruota, prendo la camera d’aria nuova e… non è la misura adatta. Dandomi cortesemente dell’imbecille, prendo il kit e riparo il buco. Gonfio la ruota e sembra reggere. Rimonto tutto e riparto. Dopo un km sono di nuovo a terra. Stessa ruota. Mi rimane solo di tentare la via della bomboletta, che apparentemente funziona; purtroppo dopo qualche secondo si forma una bella bolla sul copertone e io sono di nuovo a piedi.

Chiedo aiuto a Google nella ricerca del negozio di biciclette più vicino, ringraziando il ringraziabile per il fatto che è solo il primo pomeriggio di un giorno feriale. Google dice 3km in quella direzione. Nessun problema, dunque, gambe in spalla e via.

Il negozio in realtà non esiste, nessuno ne ha mai sentito parlare. Per fortuna un tizio simpatico (che parla solo ceco e tedesco, questo peggiore del mio) mi aiuta indirizzandomi ad un concessionario Specialized. Non potevo chiedere davvero di meglio: i ragazzi sono simpatici ed efficientissimi e in mezz’ora sono di nuovo in strada con un nuovo, bellissimo copertone posteriore (tanto bello che adesso ne devo trovare uno anche per l’anteriore).

Con il cuore pieno di gioia e di speranza, pedalo come un matto nella direzione prestabilita. Finalmente mi allontano dalla città: che l’avventura vera abbia inizio.

Tutto procede bene, su una bella ciclabile fino dalle parti di Klecany. Qui le cose si fanno difficili e in maniera totalmente inattesa: la ciclabile costeggia il fiume, letteralmente a strapiombo su esso. E diventa sempre più piccola.

La mia bici parcheggiata accanto ad un torrente

Una stradina, una mulattiera, un sentiero… Proseguo in maniera acrobatica per svariati KM. Avrei bisogno di una (buona) mountain bike e magari nessun bagaglio. Non ci sono “uscite”: o si va avanti o si torna indietro, visto che alla mia destra c’è la boscaglia quasi in verticale. In certi punti devo scendere perché è davvero troppo pericoloso: un sasso di traverso alla ruota e mi ritroverei nel fiume.

Ad un certo punto vedo una chiatta e penso che l’agonia sia finita e invece, tutt’altro: la chiatta altro non è che una escavatrice che sta sistemando una frana. La “strada” è interrotta e l’unica via è inerpicarsi (per pochi metri, per fortuna) su per il bosco e poi scendere aldilà dell’interruzione. La faccenda è divertente solo adesso che ci ripenso: se l’interruzione fosse stata solo un po’ più complessa avrei probabilmente dovuto tornare indietro, perdendo almeno due ore.

Esco finalmente da questo inferno e mi fermo a farmi una guadagnatissima birra. Sono già le 6 passate e devo ancora trovare un posto per dormire. La cartina indica a pochi KM un campeggio. Mi ci dirigo senza pensarci troppo e dopo un po’ di giri a vuoto, mi rendo conto che semplicemente il campeggio non lo trovo. Non esistono cartelli che lo indichino ma solo la fugace segnalazione sulla mappa 1:40.000 che mi porto dietro. Alla fine trovo qualcosa di solo vagamente simile ad un campeggio: non ci sono tende, non ci sono camper ma solo alcuni bungalow tutti abitati in pianta stabile da strani personaggi.

Adesso sono le 8 e sono veramente stanco. Avevo superato Klecany, l’obiettivo originale, in uno slancio di ottimismo ma mi vedo costretto a tornare indietro (che penso voglia dire infrangere la regola numero uno del cicloturista, ma pazienza) e cercare qualcosa lí. Il posto è grandicello ed infatti trovo subito un posto nel prestigioso (e inutilmente enorme) Hotel Sport.

Prendo possesso della camera, mi rilasso qualche minuto ed esco per cena. L’unico locale aperto del paese è un ristorante; entro, mi siedo e chiedo una birra e qualcosa da mangiare.

“Non abbiamo niente da mangiare” – Un pub a caso di Klecany

Birra e patatine

Il secondo giorno

Il secondo giorno inizia con il vento.

Dettaglio importantissimo, ma nemmeno lontanamente considerato inizialmente: se fai la strada verso nord, ti troverai a pedalare sempre controvento. Sempre sempre. Non un giorno sí e uno no, sempre.

Un poco ci si abitua, ma ci sono delle cose che oggettivamente alla fine della giornata pesano. Prima di tutto, il vento abbassa la temperatura “percepita” di una decina di gradi. Il giubbetto a maniche lunghe è sempre obbligatorio. Poi ovviamente ti rallenta: a causa del vento la media è sui 15km/h. Ho sperimentato l’andare nell’altro senso di marcia per un po’ e tenevo tranquillamente i 30! E poi il rumore, per il quale sei praticamente costretto a pedalare con le cuffie.

La bicicletta parcheggiata in un lungo viale alberato

Spesso e volentieri lungo il fiume si trovano dei traghetti che fanno la spola da una sponda all’altra. Ne esistono grossomodo di due tipi: uno che fa la spola regolarmente ed un altro a richiesta. Quello che ho preso a Bukol, era del secondo tipo. Se sei dalla parte “sbagliata”, suoni un campanello e attendi che il traghettatore prenda la barchetta, venga dalla tua parte, ti faccia salire e ti porti sulla sponda successiva.

La bicicletta su un traghetto

Il costo del tutto è di circa 1€.

Altra caratteristica della giornata è stata il considerare quanti soldi stiano investendo in repubblica Ceca su queste ciclabili. Molti pezzi di queste strade sono ancora bianche, sterrate e a volte anche mal messe. Ma si incontrano anche pezzi con asfalto nuovissimo, anzi, proprio appena gettato.

E nella ciclabile appena costruita è fitta la presenza di gazebo di sosta, posti coperti dove puoi dare un’occhiata alla cartina e sederti comodamente all’ombra.

La conclusione della giornata è a Litomērice. Decido per il campeggio, visto che ci passo davanti e mi pare decente. Il costo è ridicolo (circa 4€) e comprende pure l’acqua calda. Sono a due passi dal fiume, insieme a un po’ di altra gente. La tipica vita da campeggio, dove la gente solitamente sta passando un buon momento, sa quello che vuole e come ottenerlo. È un’atmosfera che adoro senza dubbio.

La bicicletta parcheggiata accanto alla tenda

La cena in città si rivelerà, ancora una volta, un disastro. Sebbene non siano neanche le 20, trovo solo un ristorante disponibile. Mi siedo e ordino del maiale con patate. Passa un’ora prima che finalmente arrivi un qualcosa di vagamente commestibile. Trangugio senza pensarci troppo e scuoto il capo sconsolato. Non sarà certo un’avventura da ricordare per il cibo.

Una via cittadina

È tempo di andare a dormire e purtroppo mi aspetterà una delle peggiori notti di cui ho memoria. Freddo, freddissimo, e il mio sacco a pelo è praticamente inutile. Mi vesto con tutto quello che ho, ma ogni mezz’ora mi sveglio in preda ai brividi. Ringrazio la mia proverbiale capacità di dormire un po’ ovunque e in qualsiasi condizione se finalmente arrivo a mattina appena riposato.

Il terzo giorno

È il giorno in cui si ritorna in Germania.

Il panorama di una collina

C’è il sole, la strada è ben segnalata e si viaggia tranquillamente senza cartina.

Cartelli stradali con distanze

Il percorso non annoia, perché man mano che ci si avvicina al confine il panorama si fa sempre più interessante per alcuni arroccamenti e soprattutto per le formazioni rocciose che il fiume ha scavato nella roccia nel corso dei millenni: si passa infatti attraverso un vero e proprio canyon.

Lungo il fiume, circa ogni KM si incontrano strane basse costruzioni, vecchie e dalla struttura particolarmente robusta. Si capisce che altri non sono che bunker di cemento armato della seconda guerra mondiale. Siamo d’altronde a pochissimi KM dal confine tedesco e immagino che questi fossero avamposti difensivi.

Un vecchio bunker e un albero

Superato (senza praticamente accorgersene) il confine ed entrati in germania, il paesaggio cambia ancora. Adesso si pedala a fianco di pittoresche cittadine con le tipiche case coloratissime e perfettamente mantenute. Sono finalmente arrivato al fine tappa odierna: Bad Schandau.

Mi accoglie con un traffico infernale, tutta un’altra situazione rispetto alla bucolica tranquillità della repubblica ceca. La cittadina sembra in gran fermento: è in pratica il punto d’ingresso per il bellissimo parco naturale Sächsische Sweiz (letteralmente, la Svizzera della Sassonia).

Il fiume Elba e un villaggio sulle sua sponda

Senza pensarci molto, cerco l’ufficio delle informazioni turistiche per trovare un posto da dormire. Dopo l’esperienza di ieri notte l’ultima cosa che voglio è dormire all’addiaccio in un campeggio: stanotte mi merito un bel letto caldo.

Ma il mio sogno purtroppo si infrange contro l’impietosa realtà. La signorina delle informazioni turistiche mi dice garbatamente che tutta l’area è assolutamente fully booked. Non esiste un posto libero da Dresda fino al confine e il motivo è che giovedì era festa e tutti si stanno godendo il ponte (me compreso, pensandoci bene). Su una cartina intravedo un campeggio… chiedo se anche quello è completamente pieno e la signorina insiste di sí. Chiedo se per favore non può provare a chiamare, visto che la mia tenda è davvero piccola.

E infatti il posto c’è. Ancora un po’ scosso dal fatto di ritrovarmi in una situazione della quale avrei fatto volentieri a meno, mi dirigo a rotta di collo verso il campeggio ma… sbaglio strada. Comincio a salire, salire, salire, per almeno due km. Per fortuna mi fermo a riposare e con l’occasione controllo la cartina: l’ultima mezz’ora in salita a 10 all’ora è stata buttata via.

Torno giù a tutta velocità e dopo un’altra mezz’ora sono finalmente al campeggio. Questo risulta uno di quelli super attrezzati, addirittura aperti tutto l’anno. Altra caratteristica simpatica, il campeggio noleggia dei contenitori semisferici dove è possibile accendere un fuoco. È una cosa che fanno quasi tutti e la notte è effettivamente uno spettacolo quasi emozionante.

Due tende in un campeggio con la bici sullo sfondo

Ceno nel ristorante del campeggio, che non è male ma neanche eccelso. Faccio due passi nel bosco, giusto per far arrivare il buio e finalmente mi decido ad affrontare il momento della verità: dormire ancora una volta all’agghiaccio. Mi infilo nel sacco pelo e indosso letteralmente tutto quello che ho.

Sto quasi bene, mi sveglio solo un paio di volte dal freddo ma la notte passa molto meglio di quella precedente.

Il quarto giorno

La mattina è bella, fredda e brillante. Mi sveglio prestissimo, che non saranno neanche le 7. Inizio a smontare la tenda e tre o quattro ragazzetti si mettono a guardarmi mentre carico la bici. Sono seri e affascinati. Chiedo il nome al più grande — Hannes — che mi dice che sono di Dresda.

L’obiettivo della giornata è infatti la visita di Dresda.

La strada continua come il giorno precedente, pulita, segnalata e in un’atmosfera rilassata.

Il fiume Elba poco prima di arrivare a Dresda

Avvicinandosi a Dresda, sempre combattendo controvento, il traffico delle biciclette si intensifica a dismisura. In certi punti siamo talmente tanti in bici (e a piedi) sulla ciclabile che è praticamente uno scorrere ininterrotto di persone in un senso e nell’altro.

Un mercatino a Dresda sulle rive del fiume Elba

Poco prima di entrare in città faccio due passi in mezzo al Flohmarkt del sabato. È enorme, forse anche più del mercatino di Mauerpark e ovviamente stracolmo di gente. La parte interessante è il gran prato che separa il mercato dal fiume, dove le persone si stendono al sole.

Dresda città è affascinante, baroccheggiante ma soprattutto sembra che sia stato investito tantissimo per liberare il centro dalle auto. In certi punti sembra che proprio abbiamo tolto le strade per far posto soltanto a ciclabili, marciapiedi e binari dei tram. Il turismo sembra anche più soffocante che a Berlino: le strade sono letteralmente invase dalle persone.

Tantissime persone attraversano una strada a Dresda

Su consiglio di una coppia incontrata durante una pausa, l’obiettivo per passare la notte sarà Meißen. Ci arrivo che sta iniziando a piovere e mi fiondo subito a cercare una stanza. La prima Pension è piena e il tizio ancora una volta mi dice che mi sarà molto difficile trovare una stanza per la notte.

Fortunatamente non è così, e trovo un posto subito nella successiva Pension (bettola, più precisamente). Costa uno sproposito (40€) per la qualità del soggiorno, ma quando piove, hai pedalato per 90km e hai passato la notte precedente all’agghiaccio, tutto fa brodo e non si sottilizza.

La città è piuttosto bella, con un bel castello e una rocca imponenti. Ceno in un ottimo ristorante indiano e subito dopo mi schianto nell’orribile letto della stamberga e mi preparo per la domenica, ultimo giorno del viaggio.

Il castello di Maissen

Il quinto e ultimo giorno

Cartina alla mano, il raggiungimento del mio obiettivo primario (ritorno a Wittenberg) necessiterebbe di una galoppata di circa 150km. Impossibile, meglio mettersi il cuore in pace, visitare Torgau e da lí prendere il treno.

La mattina mentre preparo la bici, un tizio si avvicina e mi chiede se pedalerò contro o a favore di vento. Quando gli dico “controvento” il tizio mi fa capire che mi aspetta una giornata pesante.

Ed è solo in quel momento che capisco che il vento soffia sempre se sempre nella stessa direzione. La prossima volta che avrò intenzione di affrontare l’Elba questa è una regola da tenere presente.

Il vento è davvero orribile oggi, e la media è scoraggiante. Se non altro gli Iron Maiden in cuffia aiutano a motivarsi e soprattutto a coprire il vuuuuUuUuUUu costante del vento.

La bici parcheggiata su un argine del fiume, sotto un albero

Il paesaggio è vario e mai noioso e arrivo a Torgau nel primo pomeriggio senza problemi. Per pranzo mi faccio un Kebab mentre visito il castello, veramente degno di nota con una scala curiosamente avvolta su sé stessa.

Il treno parte alle 17 e un’ora e mezzo dopo sono tornato all’auto.

L’avventura e finita ma diversamente dallo scorso anno questa volta mi è rimasta ancora tanta, troppa voglia di ripartire.


Written on May 25, 2015 by Claudio Cicali.

Originally published on Medium